DIDATTICA METEO: LA DIFFERENZA TRA UN’ONDATA DI FREDDO E UN’ONDATA DI GELO
DIDATTICA METEO: LA DIFFERENZA TRA UN’ONDATA DI FREDDO E UN’ONDATA DI GELO
In questo articolo didattico desidero puntualizzare sull’uso di alcune espressioni che si leggono e si ascoltano soprattutto nella stagione invernale. Quando si può parlare di “ondata di freddo”? Quando invece siamo interessati da una “ondata di gelo”?
Sono tre i concetti chiave che ci permetteranno di differenziare i significati delle due espressioni, a partire dal termine “ondata” che compare in entrambe. Come è facile intuire, l’idea di “onda” richiama a un qualcosa di imponente che si muove, che ci travolge e che impiega un certo tempo per passare, come per esempio capita con le onde del mare che vediamo avvicinarsi, interessarci e allontanarsi quando ci troviamo su una barca. Se al posto dell’acqua consideriamo l’aria, che è anch’essa un fluido, possiamo ugualmente parlare di onda se pensiamo a una massa d’aria che si muove e che raggiunge le nostre latitudini provenendo dalla zona in cui si è formata.
Proprio perché l’onda rimanda al movimento, in meteorologia siamo soliti parlare di “avvezione” tutte le volte in cui una massa d’aria si sposta sfruttando i dislivelli che plasmano i piani isobarici alle diverse quote e che funzionano sempre come uno scivolo, più o meno inclinato, impostato come quello che si forma con il gradiente di pressione al livello del mare, di cui abbiamo parlato in un altro articolo qualche giorno fa: il termine “avvezione”, infatti, significa “trasporto” per indicare che, sfruttando questi dislivelli, la massa d’aria viene trasportata da una zona a un’altra a seconda di come sono disposti nello spazio i campi di alta e di bassa pressione sul nostro continente, fino a interessare almeno un terzo della superficie del territorio a cui è destinata.
Appurato il significato del termine “ondata”, passiamo a spiegare quando possiamo parlare di “ondata di freddo”. È indubbio che bisogna scegliere un metro di misura per poter decidere, in maniera del tutto oggettiva, quando una temperatura può essere definita “fredda” oppure no. A tal proposito ci viene in aiuto la climatologia che ci indica quali sono i valori delle temperature minime e massime attese in una località in un certo periodo. Per parlare allora di un’ondata di freddo è necessario che i valori che vengono registrati, mentre siamo interessati da una massa d’aria, scendano al di sotto dei valori climatologici di almeno 3 °C, cioè a partire da una soglia che inizia a essere significativa e diventa sempre più significativa man mano che lo scarto si allontana dal valore medio statistico.
Facciamo alcuni esempi. Per Bari, registrare nella seconda decade di dicembre una temperatura minima di 3 °C vuol dire essere di 4 °C al di sotto del valore medio climatologico che è 7 °C e quindi per il capoluogo pugliese si può parlare di ondata di freddo in atto, in questo caso non certamente intensa, se queste condizioni durano per almeno tre giorni di seguito. Per Torino, invece, registrare nella seconda decade di dicembre la stessa temperatura minima di Bari vuol dire essere di 5 °C al di sopra del valore medio climatologico che è di -2 °C e quindi per Torino non si può parlare di ondata di freddo. Si può allora specificare che per il Sud si può parlare di “ondata di freddo” se molte altre località sperimentano la stessa situazione di Bari nei valori minimi e in quelli massimi: d’altro canto, se si parla di ondata vuol dire che l’evento è rilevante per estensione e che la massa d’aria che arriva deve avere un impatto significativo sul campo termico della zona che va a interessare, deviandolo in questo caso verso il basso dai valori che solitamente questa zona dovrebbe registrare. Partendo da qui, diventa allora facile intuire che un’ondata di freddo può presentarsi in ogni periodo dell’anno perché essa viene valutata effettuando un confronto con i valori medi climatologici di riferimento. Per essere ancora più precisi, quando si parla di “ondata di freddo” bisognerebbe specificare sempre “in relazione al periodo”.
Per far giungere il gelo in Italia si devono infatti aprire la porte che comunicano con i settori orientali della penisola scandinava e con la Russia, cioè con quei territori che normalmente nella stagione fredda costruiscono sul posto masse d’aria estremamente fredde, come quella “artica continentale” e quella “polare continentale” che possono giungere fino all’Italia solo mediante un complesso disegno barico a ingranaggi capace di allungare sempre di più verso ovest il percorso dell’irruzione. Affinché al suolo possano essere raggiunte temperature eccessivamente basse è necessario che in quota, sulla superficie isobarica di 850 hPa (1500 metri circa) i valori termici siano inferiori ai -10 °C: la prima metà del febbraio 2012 e inizio gennaio 2017 sono per esempio due periodi abbastanza recenti in cui abbiamo sperimentato proprio questa situazione, senza scomodare il febbraio del 1956 o il gennaio del 1985.
Perché è importante distinguere tra una “ondata di freddo” e una “ondata di gelo”? Essenzialmente per una questione di valutazione corretta del fenomeno che ci interessa e per posizionare al loro giusto posto, in un’ipotetica classifica, gli eventi. Se oggi sentiamo per esempio parlare di “ondata di gelo sull’Italia” e poi le temperature massime arrivano a toccare i 10 °C, capiamo bene che non ci troviamo alla pari di una situazione di vera “ondata di gelo”, proprio come quella del febbraio 2012: a tal proposito basti pensare che a Milano Linate, nei primi dodici giorni di quel mese, le giornate con valori che non superarono mai la soglia di zero gradi furono addirittura dieci, con le temperature minime che oscillarono sempre tra -4 °C e -12 °C e quelle massime tra 0 °C e -2 °C.
Ricordo a tutti i nostri lettori che, su facebook, potete trovarmi anche sulla mia pagina dedicata alla meteorologia. Grazie e buona lettura!
Andrea Corigliano, fisico dell'atmosfera