PREVISIONE SPERIMENTALE FINO AL 20 GENNAIO, BASATA SOLO SULL’EVOLUZIONE DEL VORTICE POLARE
PREVISIONE SPERIMENTALE FINO AL 20 GENNAIO, BASATA SOLO SULL’EVOLUZIONE DEL VORTICE POLARE
Oggi desidero parlare della linea di tendenza valida per le prossime due settimane proponendo un’analisi e un ragionamento che poggia solo sull’evoluzione prevista, fino al 20 gennaio, del Vortice Polare. Per chi sta muovendo i primi passi nella conoscenza della dinamica atmosferica, deve brevemente sapere che questa struttura assomiglia a un cilindro che ruota sopra il Polo e che racchiude le masse di aria gelide: in altre parole, il Vortice Polare è quel serbatoio da cui l’inverno attinge per dare forma alle irruzioni di freddo più o meno intenso che poi si dirigono verso le medie e le basse latitudini, Mediterraneo compreso, qualora la dinamica diventi favorevole agli scambi meridiani.
Per comprendere l’evoluzione del tempo sull’area euro-atlantica siamo ovviamente interessati al comportamento del settore di Vortice Polare che si trova in troposfera, cioè quella sezione del cilindro (di cui sopra) che prende il nome di Vortice Polare Troposferico (da adesso, VPT) e arriva all’incirca fino a 10 km: è proprio questa, infatti, la sezione della complessa struttura vorticosa in cui si formano e si sviluppano i fenomeni atmosferici che plasmano le nostre condizioni meteorologiche. Oltre, si entra in stratosfera dove ha sede il Vortice Polare Stratosferico (da adesso: VPS), esteso fin oltre i 30 km di quota.
Perché trattiamo questo argomento? Perché in questi giorni si sta parlando di un fenomeno che condiziona la struttura del VPS e che in gergo tecnico prende il nome di Stratwarming: in sintesi, senza entrare troppo nei dettagli, si tratta di un riscaldamento stratosferico che può rappresentare un disturbo per la struttura del Vortice. Quando il riscaldamento è massiccio – ma per il momento non è questo il caso – il VPS può frantumarsi in più lobi e, se il segnale riesce a propagarsi anche in troposfera, questa rottura può condizionare anche la struttura del VPT. Quel cilindro iniziale può quindi trasformarsi in più cilindri di minore estensione che si muovono sull’Emisfero e che possono certamente far incrementare le probabilità di avere irruzioni di aria fredda o molto fredda verso le basse latitudini perché una struttura simile del VPT è indice di un VPT debole: in queste circostanze la tensione zonale diminuisce ed aumentano le ondulazioni del flusso portante che trasportano l’aria fredda verso sud.
Avere però un fenomeno di riscaldamento stratosferico non è sufficiente per prevedere l’arrivo di un’ondata di freddo: ci sono esempi anche di irruzioni avvenute senza questo tipo di contributi dall’alto. In secondo luogo, è importante vedere dove è previsto verificarsi il fenomeno e le conseguenze che esso può apportare all’intensità e alla forma del VPS, nonché se il segnale riesce a propagarsi in troposfera per condizionare il VPT e quindi le dinamiche atmosferiche ad esso legate a grande scala.
Qual è quindi, ad oggi, lo stato dell’arte e quali possono essere i risvolti futuri per il tempo europeo? Vediamo che cosa possiamo dire. Nei prossimi giorni in alta stratosfera, sulla superficie isobarica di 10 hPa equivalente a circa 30 km di quota, si prevede effettivamente un calo della tensione zonale e un rallentamento del flusso ovest-est (fig. 1, in alto a sinistra). Questa diminuzione sarà dovuta a un aumento della temperatura (fig. 1, in basso a sinistra) che disturberà il VPS e che comporterà una parziale modifica del flusso a quella quota: ci saranno cioè dei volumi di stratosfera in cui la corrente sarà anti-zonale, cioè da est verso ovest, a indicare quindi la presenza di una struttura anticiclonica indotta proprio dal processo di riscaldamento. In bassa stratosfera, sulla superficie isobarica di 100 hPa equivalente a circa 15 km di quota, non dovrebbe invece esserci una sostanziale modifica della struttura del vortice, tanto che si prevede una tensione zonale sostanzialmente costante (fig. 1, in alto a destra) e un campo termico sostanzialmente stazionario (fig. 1, in basso a destra). Da questo comportamento deduciamo quindi che il segnale stratosferico non è previsto traslare dall’alto verso il basso in modo così evidente, né tantomeno entrare in troposfera: se dovesse succedere, la sua impronta sarà minima e praticamente ininfluente per la sorte del VPT.
Vediamo ora in che cosa si traduce il fenomeno appena descritto nella forma del vortice. In alta stratosfera, a 10 hPa, è evidente come l’azione di riscaldamento vada a interessare la sezione di colonna sovrastante il Pacifico (fig. 2, a sinistra): l’entrata in scena di un anticiclone polare in questa sede funzionerà probabilmente come una morsa che schiaccerà la struttura del VPS, facendogli assumere una forma ellittica con asse esteso dall’area siberiana all’Oceano Atlantico. L’effetto di riscaldamento non comporterà quindi una rottura del VPS in cilindri più piccoli, ma semplicemente una modifica della sua struttura che resterà compatta, anche se più allungata. Anche in bassa stratosfera (fig. 2, a destra) la situazione rispecchia, seppur in modo meno pronunciato, lo stesso schema valido per le quote superiori: è infatti evidente il segnale di riscaldamento sull’area pacifica ed è altrettanto evidente la disposizione del vortice sul suo asse maggiore che dovrebbe assumere all’incirca lo stesso orientamento dei piani superiori.
Dal momento, ora, che la struttura in bassa stratosfera del vortice polare è molto simile a quella che in alta troposfera assume il suo omologo, si deduce che gli effetti del modesto riscaldamento stratosferico possa funzionare semplicemente come una «piccola scossa di assestamento» in grado di far traslare le vorticità cicloniche verso l’area atlantica e quindi attivare un’accelerazione del flusso sull’area europea, con direzione di moto da nord-ovest verso sud-est. Ai fini pratici, questo schema equivarrebbe a una ripresa delle correnti atlantiche che potrebbero tenere a bada i sussulti subtropicali di matrice anticiclonica. Nel dettaglio, bisognerà ovviamente vedere in che cosa si tradurrà questo segnale e quindi se sarà associato al transito di ondulazioni in sequenza in arrivo dal sud della Groenlandia, con avvicendamento tra masse d’aria più miti e più fredde in un contesto, quindi, di maggiore dinamismo per le nostre latitudini: per capire questo, però, bisognerà analizzare i calcoli della modellistica numerica, come abbiamo sempre fatto.
Ricordo a tutti i nostri lettori che, su facebook, potete trovarmi anche alla pagina di Meteorologia Andrea Corigliano a questo link. Grazie e buona lettura!
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Andrea Corigliano, fisico dell'atmosfera