Novembre 1994, Piemonte: i perché di un alluvione
Novembre 1994, Piemonte: i perché di un alluvione
Dal 4 al 6 di Novembre del 1994 il Nord Italia, ed in particolare il settore occidentale, è stato interessato da una violenta ondata di maltempo che ha provocato ingenti danni materiali e numerose vittime. Nonostante i minimi depressionari, in quota e al suolo, non abbiano presentato carattere di eccezionalità, le precipitazioni osservate raggiungono livelli da primato. Vediamo le caratteristiche meteorologiche principali che sono state le cause dinamiche delle intense precipitazioni, avvenute sul Nord Italia tra il 4 ed il 6 Novembre 1994, che hanno poi provocato i fenomeni alluvionali ben noti.
Già dal giorno 3 la situazione meteorologica è caratterizzata dalla presenza di una profonda saccatura in quota con minimo posizionato sull’Islanda in approfondimento sino alle coste dell’Africa settentrionale. Dal giorno 4 la depressione in quota si estende spazialmente lungo i meridiani, determinando una vera e propria situazione di blocco del flusso di correnti di aria da Ovest che, al contrario, si orientano da Sud-Sud-Est su tutta la media Troposfera interessando l’Italia Nord-occidentale.Tali correnti si arricchiscono di umidità transitando sul mare Mediterraneo, mentre sull’Italia Nord-orientale persiste ancora un campo di moderata alta pressione (figure 1, 2 e 3). La presenza della situazione di blocco sopra descritta, che si mantiene per almeno altri tre giorni, può considerarsi la principale causa del persistere del cattivo tempo sull’Italia del Nord, con conseguente apporto di precipitazioni intense e persistenti, localmente anche eccezionali e con un massimo sulla Liguria il giorno 4 e sul Piemonte il giorno successivo.
Nelle figure 4, 5 e 6, sono invece rappresentati i totali giornalieri di precipitazione osservati sul Nord Italia. Queste mappe sono state realizzate utilizzando una tecnica di analisi oggettiva applicata ai dati di precipitazione osservati sulla rete sinottica nazionale e cortesemente forniti a questo Servizio Meteorologico da diverse strutture meteorologiche operanti in Italia del Nord. Nonostante l’eccezionalità delle precipitazioni osservate, come si può notare la situazione meteorologica non ha però assunto delle caratteristiche altrettanto eccezionali, almeno a giudicare dal valore dei minimi depressionari in quota ed al suolo. La pressione al suolo non ha subito brusche e sensibili variazioni, variando in Piemonte da 1018 a 1012 hPa in 3 giorni; non si è notata una sensibile diminuzione della temperatura nella media Troposfera ed inoltre anche il gradiente termico in quota, che può considerarsi un elemento importante nel determinare la intensità delle perturbazioni, era relativamente basso.
Il fattore principale che ha causato l’intensificazione delle precipitazioni va ricercato nel persistere dell’interazione tra il flusso d’aria umida proveniente da Sud-Est sull’Italia Nord-occidentale con l’ostacolo orografico delle Alpi. Una situazione di questo tipo obbliga la massa d’aria umida proveniente dal Mediterraneo a risalire le Alpi, con conseguente raffreddamento adiabatico, condensazione del vapore e quindi intensificazione delle precipitazioni.Una struttura di tal genere si è mantenuta pressoché costante nelle giornate del 4 e del 5 Novembre. Dal giorno 6 l’apporto di aria umida dal Mediterraneo si attenua e la perturbazione inizia a spostarsi gradualmente verso Est. Questo spostamento è favorito dalla graduale attenuazione del blocco di alta pressione presente sui Balcani. Le precipitazioni, ancora comunque consistenti, si estendono alle regioni Nord-orientali, Veneto e Friuli) ed all’Emilia-Romagna che, nelle precedenti giornate, erano solo state marginalmente interessate da deboli piogge diffuse: non sono stati comunque raggiunti i valori eccezionali osservati in Piemonte ed in Liguria durante i due giorni precedenti. Per finire, il giorno 7 la circolazione depressionaria si sposta sui Balcani, determinando residue precipitazioni sul Nord Italia.
Figura 1 - Geopotenziale a 500hPa. | Figura 2 - Geopotenziale a 850hPa. | Figura 3 - Pressione al suolo. |
Unitamente alla eccezionalità dei fenomeni meteorologici registrati va considerata quindi la situazione morfologica dei bacini montani appenninici piemontesi e le condizioni di degrado che li caratterizzano. Tale situazione è riconducibile alla contemporanea presenza di un fronte perturbato e di un’area di alta pressione che ne bloccava il naturale movimento verso Est. Infatti intense correnti sciroccali convogliavano aria calda, umida e molto instabile dall’Africa verso la Liguria e la Costa Azzurra.La presenza di una vasta area anticiclonica, che dalla Russia estendeva la sua influenza fino alle coste adriatiche, ne bloccava il naturale movimento verso levante.
L’alluvione, che come detto ha funestato soprattutto le zone meridionali del Piemonte, ha in sé molte cause, alcune di vecchia data, altre ineluttabili, altre ancora piuttosto recenti. Se si analizza la situazione dei bacini montani appenninici piemontesi appare chiaro come i caratteri peculiari di questi corsi d’acqua siano:
1. la brevità del percorso;
2. pendenze generalmente accentuate;
3. alvei di scorrimento stretti, con conseguenti piccole sezioni utili al deflusso;
4. allargamento dell’alveo di scorrimento solo allo sbocco vallivo.
Per quanto riguarda le precipitazioni, se ad esempio si prende la stazione di Bossolasco, bacino del Belbo, si nota una media per Novembre di 80 mm a fronte di un massimo di 307 mm. Bene, mi si obietterà che è assolutamente normale che il massimo sia circa quattro volte la media, ma non è questo il problema. La quantità media di 80 mm denota una bassa piovosità che risulta una caratteristica di tutto il bacino. La conseguenza morfologica è che l’alveo di scorrimento risulta, come già affermato, stretto e poco utile nel caso di precipitazioni massime, ovviamente piuttosto rare. Se si aggiunge la brevità del percorso si ha un chiaro quadro di come le piene del Belbo siano pericolose: perché hanno un tempo di corrivazione estremamente breve, tempo che occorre alla piena per arrivare allo sbocco vallivo, perché risultano molto erosive sulle rive e di conseguenza gli avvallamenti di sponda sono piuttosto frequenti, restringendo ulteriormente le aree di deflusso. L’esempio relativo al Belbo, con le naturali diversità da bacino a bacino, è tuttavia generalizzabile agli affluenti del Tanaro e, vista la loro numerosità, si giustificano le alluvioni disastrose sempre del medesimo fiume, ad Asti ed Alessandria. Da quanto detto sembrerebbe che, al verificarsi di questi eventi, debbano necessariamente seguire alluvioni violente. Questo in parte risulta vero. Ma il quadro è statico e fotografa la situazione attuale. Nella situazione attuale è possibile individuare però alcune storture, cerchiamo di individuarne le principali:
1. il mancato controllo dell’erosione sia particellare che di massa (frane);
2. gli interventi di protezione idraulica sbagliati o mancanti;
3. i cambi colturali che hanno favorito ulteriormente l’erosione;
4. la diminuzione della superficie boschiva.E vista la pericolosità delle piene a valle era necessario e fondamentale sovradimensionare le aree di deflusso a valle; invece, negli alvei di scorrimento dei fiumi, si è abbondantemente costruito case e industrie.
Analizzati velocemente alcuni perché della catastroficità delle alluvioni in queste zone è bene porsi il problema dei rimedi ed i tempi per attuarli. La prima cosa da fare è dotarsi di tutti quegli strumenti che la moderna tecnologia è in grado di fornire. Ci riferiamo a reti di strumentazione meteorologica, che forniscano in tempo reale i dati di pioggia, vento, ecc. accoppiati alle indicazioni del radar meteorologico, e a modelli di previsione di piena dei bacini montani, il tutto finalizzato non ad un allarme indiscriminato, ma ad uno localizzato evitando perciò false indicazioni che portano sfiducia sia in quelli che devono applicare le ordinanze di sgombero (amministratori) sia in quelli che le devono subire (abitanti del territorio potenzialmente alluvionato). Tutto questo permetterebbe sicuramente, in caso di precipitazioni forti, di non poter salvare le cose, ma almeno la vita di abitanti e di animali.
E veniamo agli altri possibili rimedi che incidono sulle cause. Come già detto, con i fenomeni estremi bisogna convivere e cercare di ridurne gli effetti. Anni e anni di incuria del territorio non si possono rimediare in breve tempo. Occorre una programmazione che in un tempo prestabilito porti al miglioramento della situazione, non alla rimozione del problema. Infatti queste aree sono sempre state soggette a periodi di stasi seguite poi da fasi di rapido modellamento del paesaggio. Per questo un obiettivo praticabile e non utopistico è quello di diminuire la capacità erosiva di questi eventi, non di eliminarla. Bisogna perciò attivare quei processi che favoriscano la trattenuta delle acque e che ostacolino l’erosione, con opere mirate di sistemazioni idrauliche di fondovalle come di versante. Qualora sia avvenuta la distruzione di immobili su determinate aree prossime ai corsi d’acqua, bisogna non commettere l’errore di ricostruirle nella stessa posizione.Come si può facilmente arguire da quanto detto è necessaria una diversa organizzazione di protezione civile, con obiettivi perseguibili in tempi diversi. E qui si pone il problema della rilevanza politica del concetto stesso di protezione civile. Così come per le questioni ambientali, bisogna capire come i lavori pubblici si possano intendere non solo come strade ed autostrade, ma anche come tutela del territorio.
Figura 4 - Precipitazioni il 4 Novembre. | Figura 5 - 4. | Figura 6 - . |