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Climatologia delle precipitazioni nevose sulla pianura Padano Veneta: seconda parte

Climatologia delle precipitazioni nevose sulla pianura Padano Veneta: seconda parte
 

Previsione e fascino della neve

Le abbondanti nevicate sono sempre determinate da intensi fronti perturbati e/o da marcati effetti orografici; l’aria umida, responsabile delle precipitazioni, viene spinta verso l’alto dalla presenza di aria fredda sottostante o per effetto di un sistema montuoso; l’aria fredda in arrivo solleva l’aria calda più leggera (fronte freddo) oppure è l’aria calda in arrivo che scorre su quella fredda tendendo gradualmente a sostituirla (fronte caldo). L’intensità delle perturbazioni, la presenza e l’orientamento delle barriere orografiche rappresentano quindi un fattore determinante sulla distribuzione delle precipitazioni in generale e delle nevicate in particolare.

Situazioni meteorologiche favorevoli alle precipitazioni nevose sulla Padania e aspetti previsionali

Il versante italiano delle Alpi è interessato da fenomeni nevosi importanti, in presenza di correnti umide provenienti dai quadranti meridionali, che si sollevano per l’effetto orografico; le correnti settentrionali portano, per lo stesso motivo, nevicate abbondanti sui versanti esteri e venti di caduta con cielo sereno sul versante meridionale. Le circolazioni depressionarie che nascono sul Golfo di Genova, con confluenza attiva di aria fredda da Nord-Est e calda da meridione, possono determinare intense nevicate sul sistema alpino e sull’Appennino settentrionale che, disposto perpendicolarmente alle correnti di Nord-Est, ne determina il sollevamento.

Le situazioni meteorologiche accennate possono portare nevicate anche sulla pianura padano-veneta solo se si verificano determinate condizioni termiche al suolo e in quota.

Sul settore centro-occidentale si verificano nevicate di rilievo quando aria calda e umida, sospinta da una depressione sui mari a ovest dell’Italia, affluisce, dai quadrati meridionali, sopra un cuscino di aria fredda, preesistente, intrappolata dal sistema orografico; sono le cosiddette “nevicate da raddolcimento”, che segnano il passaggio tra il dominio dell’anticiclone freddo e le correnti cicloniche atlantiche.

In queste condizioni le massime precipitazioni nevose si verificano sulle zone pedemontane del Piemonte e della Lombardia sopravento ai rilievi alpini e possono estendersi alla bassa pianura e all’Emilia occidentale, mentre sulla Romagna e sul Triveneto è più frequente la pioggia anche se la temperatura al suolo è prossima allo zero in quanto il cuscino di aria fredda è qui meno spesso e i venti caldi in quota provocano l’innalzamento dello zero termico con conseguente fusione della neve prima del suo contatto col suolo: può capitare che nevichi su Piemonte e ovest Lombardia, mentre piove non solo sul settore centro-orientale, ma anche sull’Appennino Tosco-Emiliano investito direttamente dai venti caldi meridionali.

Sul settore orientale le nevicate, meno frequenti ed abbondanti, sono legate di preferenza agli afflussi di masse di aria fredda da Nord-Est al suolo o in quota che interessano più direttamente la costa adriatica e la Romagna. Cadute di neve particolarmente abbondanti possono manifestarsi con circolazioni depressionarie che dal Golfo di Genova si spostano verso le regioni centrali e il medio Adriatico, quando è presente un anticiclone sull’Europa centrale; in tali condizioni, l’aria calda e umida che affluisce in quota dai quadranti meridionali contrasta con l’aria fredda proveniente da Nord-Est negli strati più bassi; il marcato contrasto tra le due masse d’aria e il sollevamento determinato dalla presenza dei rilievi appenninici, perpendicolari alle correnti, determinano nevicate più abbondanti via via che ci si avvicina all’Appennino.

Tale situazione è particolarmente favorevole alle nevicate sull’Emilia Romagna e sul basso Piemonte e spiega la maggiore nevosità del pedemonte emiliano romagnolo rispetto alla bassa pianura. Non è raro che in tali condizioni la pianura a Nord del Po, meno esposta ai venti di Nord-Est, si trovi in condizioni di tempo piovoso o venga risparmiata dai fenomeni.In montagna, le difficoltà di previsione degli eventi nevosi riguardano soprattutto i quantitativi e la quota di trasformazione della neve in pioggia; ad alta quota, al sopraggiungere di un fronte perturbato sufficientemente intenso, la neve è praticamente certa; ben più difficile è la previsione in pianura dove occorre che si verifichino contemporaneamente specifiche situazioni termiche.


Le più intense nevicate avvengono con temperature prossime a 0°C, ciò rende particolarmente difficile la previsione; un lieve cambiamento della temperatura, o poche decine di metri di quota in più o in meno, possono segnare la differenza tra una tormenta di neve e una pioggia torrenziale (nelle città del Nord America può capitare che nevichi sulle terrazze dei grattacieli mentre piove a livello della strada!). Una delle maggiori difficoltà si ha quando la temperatura davanti ad un fronte perturbato avanzante è di poco superiore allo zero, anche perché la temperatura al suolo non è sempre indicativa della quota dello zero termico nella libera atmosfera.

In tal caso è difficile prevedere se la precipitazione in arrivo sarà nevosa o piovosa; in genere il processo di formazione della neve fa raffreddare lo spazio sottostante la nube tanto più rapidamente quanto più intensa è la precipitazione, facendo abbassare di quota lo zero termico, per cui la precipitazione può iniziare come pioggia ad una temperatura di +3/+4°C, ma via via che la pioggia si intensifica ed evapora nell’aria satura sottostante la nube, raffredda l’aria stessa, così che la precipitazione può raggiungere il suolo sotto forma di neve o pioggia mista a neve con temperatura intorno +1/+2°C. Viceversa può essere presente, o sopraggiungere, ad una determinata quota, uno strato sufficientemente spesso di aria più calda tale da fondere la neve durante la caduta, allora può piovere anche se al suolo le temperature sono “da neve”; ciò accade con una certa frequenza nelle zone dove ristagna facilmente aria fredda nei bassi strati, come appunto le zone di fondovalle e di pianura, dove si osservano con una certa frequenza piogge con temperature molto basse o sopraffuse, cioè con temperature al suolo inferiori a 0°C. Se lo strato freddo a contatto col suolo è abbastanza spesso, la pioggia o la neve semisciolta possono ricongelare dando luogo a nevischio o gragnuola.

La sola osservazione della temperatura al suolo davanti al fronte perturbato avanzante non è quindi elemento sufficiente per una previsione: l’aria fredda frequentemente presente sulla Pianura Padana negli strati più bassi, spesso cela all’osservatore la presenza di aria più calda alle quote più elevate; diventa quindi fondamentale conoscere anche la quota dello zero termico nella libera atmosfera e le sue variazioni previste al sopraggiungere del fronte perturbato. In sintesi si può dire che è più probabile una precipitazione sotto forma di neve, se la temperatura al suolo è inferiore a +2 °C e lo zero termico si trova entro i primi 300 m di quota; se la temperatura è inferiore a zero la neve è praticamente certa; più è elevata la quota dello zero termico e più la neve diviene improbabile anche se la temperatura al suolo è prossima allo zero poiché i fiocchi di neve tendono a fondere attraversando lo strato d’aria in quota a temperatura positiva; è quindi possibile avere cadute di neve a temperature intorno a +2°C e pioggia con temperatura inferiore o addirittura negativa.

L’orografia rende comunque particolarmente difficile la previsione della neve sulla regione padana: le catene montuose ostacolano il moto delle diverse masse d’aria che d’inverno interessano il bacino del Mediterraneo, ne modificano le caratteristiche e ne attenuano o amplificano gli effetti in modo complesso e non facilmente prevedibile. L’arco alpino rappresenta una grossa incognita soprattutto quando le perturbazioni provengono dai quadranti settentrionali; esso può costituire una barriera invalicabile per le nubi, che sono costrette ad aggirare l’ostacolo ed allora su gran parte della Valpadana la perturbazione passa inosservata, oppure si manifestano venti di caduta con forte rialzo termico e cielo sereno; se però la perturbazione è più intensa o se si forma una depressione sottovento, il tempo peggiora rapidamente, e se le condizioni termiche sono favorevoli, può nevicare intensamente anche sulla Pianura Padana. Questo tipo di situazione provoca spesso clamorosi errori di previsione anche da parte degli enti più autorevoli. Gli afflussi di aria artica portano abbassamenti di temperatura improvvisi, rapidi e difficilmente quantificabili, con nevicate anche in primavera, quando ormai le temperature sono così elevate da far ritenere il fenomeno improbabile, quanto meno alle quote più basse. Talvolta si prevedono nevicate da “raddolcimento” al sopraggiungere di perturbazioni atlantiche, ma basta che la perturbazione rallenti la sua marcia, perché i venti meridionali che la precedono, mitigando la temperatura al suolo e innalzando la quota dello zero termico, determinino, sulla Valpadana, condizioni più favorevoli alla pioggia che alla neve.

Analisi di alcuni periodi particolarmente nevosi sulla valle padana

5-17 GENNAIO 1985
Evoluzione del tempo --> Il mese fu caratterizzato da intense nevicate su tutta la penisola, con temperature estremamente basse, paragonabili solo a quelle dei “famosi” inverni del 1929 e del 1956. Sulla Valpadana il periodo più nevoso andò dal 5 al 17 con ben tre invasioni di aria artica il 5, l’8 e il 14. La prima irruzione portò nevicate soprattutto sul ferrarese e un forte abbassamento della temperatura. L’irruzione dell’8 formò una profonda depressione centrata sull’Italia centro-meridionale, creando le condizioni ideali per le nevicate sulla Valpadfeana centro-orientale. L’irruzione del 14 interessò il Mediterraneo occidentale, raggiungendo il Nord Africa e formando una profonda e vasta depressione con venti sciroccali sull’Italia che durarono fino al 17 e portarono estese nevicate su tutto il territorio padano e un graduale rialzo termico.
Fenomeni --> Nel periodo le massime precipitazioni si verificarono sulle zone prealpine tra Lombardia e Piemonte e sulla fascia pedemontana emiliana, dove il manto nevoso raggiunse i 70-80 cm, altrove la distribuzione fu più irregolare con valori che oscillano tra i 50 cm del Polesine, della Romagna e del pedemonte veneto e i 10 cm del litorale veneto e friulano. La neve fu abbondante anche in altre zone di pianura e di fondovalle: Trento 150 cm, Genova 20, Roma 15. Le temperature del periodo furono tra le più basse del secolo: tra il 6 e il 13 si superarono abbondantemente i –20°C nella bassa pianura emiliana, si toccarono i –18°C a Verona e i –17°C a Rimini. Sull’Emilia il manto nevoso rimase compatto fino al 18 Febbraio e tracce di neve rimasero fino ai primi di Marzo, nonostante l’assenza di nuove precipitazioni nevose di rilievo.

7-17 FEBBRAIO 1986
Evoluzione del tempo --> Tra il 7 e l’8 un corpo d’aria fredda in quota interessò le regioni centro-orientali, il 9 una depressione proveniente dalla Spagna, si spostò verso l’Italia centrale determinando una confluenza di aria fredda da Nord-Est e di aria calda da Sud, che durò fino al 12. Il 13 si stabilì un campo anticiclonico con massimo sulla Scandinavia, ma già il 14 una depressione atlantica entrò sul Mediterraneo attivando correnti meridionali e spostando il suo centro sul meridione il giorno 15. Il 17 una nuova depressione dall’Atlantico si spostò sulla Francia attivando intense correnti meridionali su tutta l’Italia.
Fenomeni --> Il periodo fu caratterizzato da frequenti nevicate soprattutto su Emilia Romagna e Marche; a Reggio Emilia, dove si ebbero nevicate nei giorni 6, 7, 8, 9, 10, 15 e 17, si ebbe un massimo di spessore del manto nevoso di 40 cm. L’inverno ‘85-’86, con consistenti nevicate anche in Gennaio e Marzo, è stato il più nevoso, nella zona di Reggio Emilia, degli ultimi decenni con un totale di 142 cm di neve sulla zona pedecollinare.

10-15 GENNAIO 1987
Evoluzione del tempo --> Il giorno 10 sul Mediterraneo occidentale si verificò una confluenza tra aria fredda proveniente da Nord-Est e aria umida atlantica, si formò una profonda depressione che si mosse lentamente dal golfo ligure alle regioni meridionali, il 13 si formò una nuova depressione vasta e profonda, che spostò il suo centro dal Golfo del Leone al Mar Ligure attivando correnti meridionali fino al 15, prima di attenuarsi sul posto.
Fenomeni --> Risultò interessata dalle nevicate tutta la Valpadana, l’altezza massima del manto nevoso oscillò dai 60 cm di Torino, ai 50 della media pianura emiliana, ai 30 di Udine e Bergamo.

6-7 FEBBRAIO 1991
Evoluzione del tempo --> Il giorno 6 un corpo di aria artica si spostò in quota dall’Austria verso la Romagna e successivamente si formò una depressione al suolo, sulle regioni centrali, con confluenza di aria fredda da Nord-Est e aria calda dai quadranti meridionali, il 7 una perturbazione atlantica fece affluire nuova aria calda e umida in quota mentre al suolo non era ancora esaurito l’afflusso freddo.
Fenomeni --> Nevicò intensamente sulla Valpadana centro-orientale e in particolare in Romagna, con 60-70 cm di neve nel riminese, 40 a Cesena, 38 a Reggio Emilia , 30 a Bologna e 20 a Ferrara. Per Rimini fu la più abbondante nevicata da quella storica del 1929. Il giorno 7 sull’Emilia Romagna si registrarono temperature oscillanti tra i –12°C della costa e i –20°C della bassa emiliana.

17-18 APRILE 1991
Evoluzione del tempo --> Verso la metà del mese su molte zone della Valpadana le temperature massime superavano i 20°C, ma il 17 l’anticiclone atlantico, disteso dalle latitudini artiche fino al Nord Africa e una depressione sull’Europa orientale, determinarono la discesa da Nord di un vigoroso fronte freddo, che dopo aver portato intenso maltempo su molte zone dell’Europa centro-settentrionale, con neve e grandine, scavalcò l’arco alpino formando una depressione sul Mar Ligure il giorno 18, determinando un intenso afflusso di aria fredda da Nord-Est sull’Italia settentrionale e richiamando aria calda e umida da Sud-Est lungo l’Adriatico.
Fenomeni --> Tra il 17 e il 18 su molte zone della Valpadana la temperatura scese di oltre 20 °C in poche ore, si manifestarono piogge abbondanti, temporali, nevicate e forti venti da Nord-Est, che raggiunsero localmente i 140 km/h, nei successivi giorni su molte zone le temperature minime scesero al di sotto dello zero, rilevanti furono i danni alle colture. Le nevicate in pianura interessarono principalmente le zone pedemontane dell’Emilia Romagna, dove il manto nevoso variò da pochi cm della costa a 20-30 delle zone collinari e pedecollinari più interne.

Torna alla prima parte, dove parliamo dei record, della previsione della neve e i parametri relativi alle precipitazioni nevose.

Di Marco Pifferetti. Per gentile concessione dell' AER, Dicembre ‘92. Altre fonti: Pinna “Climatologia”; Ministero Lavori Pubblici “Carta della precipitazione nevosa media in Italia dal 1921 al 1960”; Regione Veneto, “Manuale delle valanghe”; Giuliacci, “Climatologia fisica e dinamica della Valpadana”; Ufficio Idrografico Genio Civile, “Istruzioni per la misura delle precipitazioni meteoriche”.


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