LE CONSEGUENZE A LUNGO TERMINE DI UNA PRIMAVERA AVARA DI PIOGGE
LE CONSEGUENZE A LUNGO TERMINE DI UNA PRIMAVERA AVARA DI PIOGGE
Si è molto parlato della lunga fase siccitosa che negli ultimi mesi ha interessato la nostra penisola e in modo particolare le regioni del Nord Italia, dove a ovest si sono concentrati i deficit pluviometrici più significativi. Il passaggio di un paio di perturbazioni atlantiche, avvenute di recente, non ha davvero risolto il problema che continua a persistere, localmente più attenuato, anche se i riflettori dei media si sono spenti e quindi non se ne parla più. La mancanza di acqua nei suoli durante la stagione primaverile è una criticità da non sottovalutare e che assume una gravità maggiore rispetto a una situazione analoga che magari può presentarsi a inizio ottobre.
Adesso, infatti, ci troviamo nel periodo dell’anno in cui il fattore meteorologico e quello astronomico iniziano a remare contro un risanamento della situazione che, al contrario, è potenzialmente destinata a peggiorare. Man mano che la stagione primaverile avanza e si va verso l’estate, l’evoluzione del tempo delle nostre latitudini tende infatti a non mostrare più quelle dinamiche atmosferiche in grado di fabbricare i sistemi nuvolosi da cui si originano piogge diffuse e organizzate, ma affida prevalentemente alle condizioni di instabilità – quando si verificano – la possibilità di distribuire in modo spesso disorganizzato i millimetri di pioggia che di solito cadono in poco tempo e sotto forma di intensi rovesci. Per tenere quantomeno stabile la situazione nei prossimi mesi servirebbe una stagione estiva fresca e umida, vale a dire l’instaurarsi di una situazione anomala dalle basse probabilità di accadimento.
Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, l’estate è per il Mediterraneo e l’Italia la stagione che non delude mai perché, alla fine della sua corsa, riesce comunque a portare a casa periodi anche lunghi di tempo stabile e ondate di calore, talvolta anche intense. Se quindi la stagione estiva debutta partendo da condizioni iniziali del suolo che si trovano in uno stato di siccità, non solo si accelera tramite l’evapotraspirazione la perdita ulteriore della poca acqua ancora disponibile per via della radiazione solare particolarmente intensa, ma si creano anche i presupposti per permettere al terreno di immagazzinare più calore e quindi di incrementare l’intensità delle ondate di caldo. Quando i raggi solari colpiscono un suolo umido, la loro energia viene infatti in parte assorbita dall’acqua che, scaldandosi, evapora. Se il terreno è arido, questa energia va invece a riscaldare il suolo che a sua volta riscalda gli strati d’aria a contatto con esso e quindi contribuisce a fare aumentare la loro temperatura.
Una condizione di siccità all’inizio dell’estate è quindi favorevole all’aumento dell’intensità della calura qualora la dinamica atmosferica proponga il dominio di figure anticicloniche subtropicali e in particolare del promontorio nord africano. Una siccità primaverile che segue una siccità invernale non è quindi solo un problema, già di per sé grave, di approvvigionamento idrico utile per l’ambiente, per l’agricoltura e per il nostro fabbisogno ma diventa un problema anche di salute perché si ripercuote su un aspetto delle nostre estati, come le ondate di calore, che in un clima ormai cambiato sono diventate più intense e più frequenti.
Ricordo a tutti i nostri lettori che, su facebook, potete trovarmi anche alla pagina di Meteorologia Andrea Corigliano a questo link. Grazie e buona lettura!
Andrea Corigliano, fisico dell'atmosfera