BILANCIO CLIMATICO DEL 2022: IN ITALIA L’ANNO PIÙ CALDO E PIÙ SECCO DAL 1800
BILANCIO CLIMATICO DEL 2022: IN ITALIA L’ANNO PIÙ CALDO E PIÙ SECCO DAL 1800
Lo abbiamo ipotizzato e adesso anche i dati elaborati dall’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR di Bologna lo confermano: l’anno che si è appena concluso è stato, per l’Italia, il più caldo e il più secco da quando è iniziata la serie storica delle rilevazioni. È stato l’anticiclone nord africano e le ripetute avvezioni di aria calda subtropicale, a volte di origine marittima e a volte di origine continentale, a plasmare nel corso dei dodici mesi questa situazione da primato. Il peso di questa figura barica nell’aver condizionato la dinamica atmosferica non solo sull’Italia, ma anche su tutto il settore centro-occidentale del nostro continente, si mostra chiaramente ai nostri occhi andando a calcolare il valor medio, su tutto il 2022, dell’anomalia della circolazione che si è impostata su tutta la colonna troposferica al di sopra del nostro continente (fig. 1): dall’alta troposfera a circa 9000 metri di quota (300 hPa) fino ad arrivare nei bassi strati a circa 1500 metri di quota (850 hPa), è infatti ben evidente la prevalente rotazione oraria delle correnti che è andata a porre proprio tra Francia, Germania, Nord-Ovest italiano e Sardegna il fulcro del motore anticiclonico.
Grosso modo, è anche su questi settori che i campi delle grandezze atmosferiche più importanti hanno mostrato le anomalie più significative, come per esempio nel caso del geopotenziale a 500 hPa (fig. 2, a sinistra) e della temperatura a 850 hPa (fig. 2, a destra): d’altro canto, i ripetuti afflussi di aria calda dalle basse latitudini hanno altrettanto ripetutamente gonfiato le superfici isobariche a tutte le quote definendo così, anche in termini di segnale medio annuale, una vera e propria «bolla di calore» centrata all’incirca in prossimità del cuore della figura di alta pressione.
Gli effetti sul campo termico registrato al suolo hanno ovviamente rimarcato il segnale anomalo che ha caratterizzato tutta la colonna troposferica (fig. 3): dei dodici mesi, ben nove sono risultati più caldi della media climatologica dell’ultimo trentennio (1991-2020) anche in maniera significativa, due sono risultati in media e solo uno sottomedia.
Tra i mesi più caldi del normale, è significativo far notare che ben cinque sono saliti sul podio piazzandosi al secondo posto dei rispettivi mesi più caldi di sempre, cioè dal 1800: maggio (+1.83 °C), giugno (+2.88 °C), luglio (+2.25 °C), ottobre (+2.08 °C) e dicembre (+2.09 °C). Partendo da un simile comportamento dei dodici mesi anche l’anno 2022 non poteva che essere da primato (fig. 4): con un’anomalia di temperatura di +1.15 °C a scala nazionale – nel dettaglio +1.37 °C al Nord, +1.13 °C al Centro e Sardegna e +1.00 °C al Sud – il 2022 è diventato così l’anno più caldo dal 1800, superando di ben 0.40 °C (che non sono pochi su questa scala spazio-temporale!) il precedente record di anno più caldo che apparteneva al 2018, cioè a soli quattro anni prima.
Il fatto che siano passati appena quattro anni per battere un record annuale di caldo è certamente una notizia, ma diventa una notizia nella notizia se si considera che poi, in fin dei conti, tutti gli anni dal 2010 al 2020 hanno gareggiato per entrare nella top ten degli anni più caldi di sempre e puntare al podio. E ci sono anche riusciti.
Ecco, proprio per questo motivo è indubbio che quella che viene chiamata «variabilità naturale» del clima sia sopraffatta da un altro segnale più forte che si impone e che modifica l’andamento delle fluttuazioni termiche annuali: per gli scienziati, questa è l’impronta antropica che risulta particolarmente evidente in quelle aree del pianeta, proprio come il Mediterraneo, che sono definite «hot spot» del «climate change»: vale a dire aree in cui gli effetti del cambiamento climatico sono più evidenti e tangibili.
Dal punto di vista pluviometrico, infine, c’è da sottolineare che il 2022, a pari merito con il 2017, è stato l’anno più siccitoso dal 1800, con un deficit a scala nazionale di -30%: l’anomalia più marcata si è registrata sul Nord Italia, dove è mancato il 40% delle precipitazioni medie calcolate sempre sul trentennio 1991-2020.
Un ringraziamento al dott. Michele Brunetti dell’ISAC-CNR per l’analisi dei dati pubblicata mensilmente su: https://www.isac.cnr.it/climstor/climate_news.html
Ricordo a tutti i nostri lettori che, su facebook, potete trovarmi anche alla pagina di Meteorologia Andrea Corigliano a questo link. Grazie e buona lettura!
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Andrea Corigliano, fisico dell'atmosfera