SUL DISASTRO DI ISCHIA
SUL DISASTRO DI ISCHIA
Il disastro di Ischia, che conta purtroppo vittime, dispersi e ingenti danni, è stato innescato da una precipitazione molto intensa che nella notte tra il 25 e il 26 novembre ha raggiunto in sei ore circa 130 millimetri di pioggia. Secondo il CNR, si tratta della cumulata più elevata degli ultimi vent’anni e quindi, per quella zona, il dato è certamente significativo. L’impatto che questa massa d’acqua ha avuto sul territorio è purtroppo sotto gli occhi di tutti. Quando sarà passato il martellamento mediatico, verrà il tempo di accertare le responsabilità di quanto avvenuto. Ci penserà di chi dovere.
Non vorrei, però, che si puntasse unicamente il dito contro il «cambiamento climatico» per cercare delle attenuanti e per riversare sul «clima che cambia» tutte le colpe. Perché è pur vero che gli eventi estremi minano sempre più spesso gli equilibri del nostro fragile territorio, ma è ancor più vero che la natura non fa sconti se si abusa di essa e se la si violenta. Prima o poi presenta il conto, senza guardare in faccia a nessuno. È l’ennesima storia tragica di un’Italia che frana, in cui molto probabilmente l’aumento dei fenomeni estremi contribuisce ad accelerarne il processo.
Ma è anche l’ennesima storia in cui si può osservare come cambia il livello del rischio a seconda del luogo in cui il cielo riversa simili quantità di pioggia. Centotrenta millimetri in sei ore, per esempio, sono semplicemente una pioggia abbondante per le Alpi o per la città di Genova, dove una tale quantità può cadere anche in una sola ora nel corso di un temporale autorigenerante e limitarsi a provocare solo allagamenti. Non centra quindi solo la probabilità che un evento intenso si verifichi o i suoi tempi di ritorno, ma centra anche la vulnerabilità del territorio che viene stressato da eventi di questo genere che non sono certamente nuovi per le nostre latitudini.
Più un territorio è vulnerabile alle piogge intense, minore è la quantità di pioggia che deve cadere per generare lo stesso livello di rischio idrogeologico di un territorio meno vulnerabile, ma dove è maggiore la quantità di pioggia che cade.
Non buttiamo, allora, dentro al calderone solo il clima che cambia. Anche perché, come ben sappiamo, un evento singolo non giustifica un cambiamento. Contiamo prima gli abusi e le violenze perpetrate ai danni dell’ambiente e del territorio, stuprato dall’abusivismo. Nel stilare l’elenco delle responsabilità, sarebbe quindi opportuno inserire solo tra gli ultimi posti il fatto che 130 millimetri in sei ore rappresentano la precipitazione più intensa degli ultimi vent’anni. Per correttezza e soprattutto per rispetto di chi ha perso la vita.
Foto: credit ANSA
Ricordo a tutti i nostri lettori che, su facebook, potete trovarmi anche alla pagina di Meteorologia Andrea Corigliano a questo link. Grazie e buona lettura!
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Andrea Corigliano, fisico dell'atmosfera