Storia di un’estate all’insegna del Niño. O forse no...
Storia di un’estate all’insegna del Niño
AER si è già occupata di questo fenomeno che trae origine nell'Oceano Pacifico con un anomalo riscaldamento della superficie marina davanti al Perù ed all’Ecuador. Si sa che il fenomeno produce modificazioni climatiche significative, anche a grande distanza. In questo articolo si analizzano i possibili legami fra El Niño e le alte temperature che si registrano nel nostro paese.
Nel 1997 il Niño è andato per la maggiore perché è stato indicato come un possibile guastafeste per le nostre vacanze estive. Il fenomeno, vecchia conoscenza di quanti da tempo studiano le interazioni mare-atmosfera e le loro ripercussioni sulla grande circolazione planetaria, è balzato improvvisamente alla ribalta della cronaca italiana solo perché qualcuno ha previsto che il nostro paese vivrà un’estate molto calda, con temperature che potranno anche abbondantemente superare i quaranta gradi. E tutto questo come conseguenza del fatto che nel Pacifico Centrale, in prossimità dell’equatore, dal mese di Aprile è comparso il Niño e le acque superficiali di quell’oceano si stanno minacciosamente riscaldando.
L’effetto psicologico che ne consegue è tale da produrre nei più la spiacevole sensazione di dover far fronte ad un’estate ancora più calda.D’altra parte è bene procedere con cautela, quando si tratta di informazione pubblica, anche se è pur vero che ci stiamo abituando alle notizie più sconfortanti e abbiamo netta la sensazione di vivere sempre più pericolosamente alla mercé, come ormai siamo, di un buco dell’ozono che non accenna ad arrestarsi, di un effetto serra che continua ad aumentare, di uno smog invernale che lascia il posto sempre più spesso ad un non meno pericoloso fotosmog estivo, con trasformazione delle grandi aree urbane in intense isole di calore o autentiche camere a gas, a seconda della stagione, e tutto questo nella più deprecabile noncuranza dei maggiori paesi industrializzati.
Non che il Niño sia una cattiveria inventata tanto per rovinarci l’estate e aggiungere apprensioni gratuite alle tante che già ci sono, questo no. Sappiamo che il fenomeno è reale, che esiste da moltissimo tempo, anche se sembra proporsi con maggior frequenza e persistenza nella regione di origine, dove là sì che le ripercussioni climatiche sono effettivamente molto rilevanti. Dubbie sono invece le possibilità che ne possa risentire il clima su scala planetaria, giacché non si hanno riscontri sicuri su correlazioni dirette fra causa (riscaldamento abnorme della superficie marina) ed effetti (stravolgimenti temporanei delle condizioni climatiche anche in località molto lontane). Non è cosa certa, in altre parole, se anche regioni come l’Europa e il mediterraneo ad esempio rientrino nella possibile sfera d’azione di un fenomeno tanto lontano, e comunque in che misura e in che modo eventualmente potrebbero esserne coinvolti.
El Niño consiste in un’enorme distesa di acqua calda che periodicamente si forma nell’Oceano Pacifico davanti a Perù ed Ecuador, allorquando il normale regime dei venti locali è soggetto a significative modificazioni. Fino ad alcuni decenni fa, anche se non ha mai avuto una periodicità regolare, si manifestava ogni 4-5 anni attorno al periodo di Natale e consisteva nell’aumento di pochi gradi di temperatura della superficie del mare, durava qualche mese, poi subentrava la Niña (processo di raffreddamento per intenso upwelling, vedi figura a lato) e la situazione tornava come prima.Dagli anni settanta, da quando cioè sono iniziati rilevamenti scientifici sistematici e continui (prima se ne interessava solo qualche ricercatore, data la scarsa importanza di quelle regioni a bassa densità di popolazione), la frequenza del Niño non solo sembra essere aumentata, ma sembra aver perso anche la caratteristica di interessare il solo periodo natalizio.
Un primo passo verso la comprensione del Niño è stato fatto nel 1966 dai ricercatori dell’Università di California, allorquando fu riscontrata un’associazione fra l’anomalo riscaldamento superficiale del Pacifico Sud-americano e un fenomeno, non ancora spiegato, definito “oscillazione australe”. Tale oscillazione consiste in una calata di pressione atmosferica, nell’area ciclonica che sovrasta l’Indonesia e l’Australia settentrionale, ogni qualvolta si determina un aumento di pressione nell’area anticiclonica centrata sull’Isola di Pasqua. Successivamente, dalle sistematiche osservazioni iniziate negli anni settanta, sono emersi ulteriori interessanti aspetti che in genere si accompagnano al fenomeno, come ad esempio il forte indebolimento degli Alisei in prossimità dell’Indonesia, la loro sostituzione con venti occidentali di superficie dopo complessi stravolgimenti meteo-climatici, la possibile inversione di direzione (verso Est anziché verso Ovest) dei venti lungo l’equatore. Benché ogni episodio si sia presentato con delle differenze rispetto a quelle osservazioni, si pensò di utilizzare tali segnali per prevedere l’insorgenza del fenomeno e definire possibilmente le conseguenti ripercussioni climatiche anche sulla scala planetaria. La procedura però non ha fornito risultati sempre soddisfacenti; l’intenso Niño verificatosi nel 1982, comparso senza essere stato preceduto da segnali premonitori, proprio come è avvenuto per quello di cui stiamo parlando, ha imposto a quei ricercatori di rivedere la strategia di previsione, tornando con nuove concezioni sulle procedure di simulazione per cercare di renderle più efficaci. Nonostante non vi sia dubbio alcuno che l’improvviso riscaldamento di una così estesa superficie oceanica (si tratta di svariati gradi centigradi in più rispetto alle condizioni normali) non possa non provocare significative modificazioni negli assetti che caratterizzano la circolazione atmosferica generale, non si è ancora in grado di stabilire a priori quali possono essere gli scenari climatici conseguenti all’azione di un Niño e non solo quelli attribuibili alle regioni più lontane.
Le esperienze legate ad episodi trascorsi forniscono risposte che in termini di impatto climatico vanno dalle piogge alluvionali sulle coste americane dal Perù alla California, agli uragani più frequenti ma soprattutto più violenti lungo le coste della Florida, alle condizioni di siccità estrema in Australia, ma non di rado anche in Brasile e in India. Al catastrofico Niño del 1982, ad esempio, sono state attribuite anche precipitazioni record in Polinesia, colpita fra l’altro da uno straordinario numero di cicloni, un’eccezionale siccità in alcuni territori africani fra cui il Sahel e l’estate più calda del secolo in Italia, con temperature spesso al disopra dei quaranta gradi. Ma tutto questo non ha trovato ancora risposte scientifiche certe in termini di causa-effetto, soprattutto in determinate aree del globo, e per questi motivi gli esperti non vogliono oggi pronunciarsi sulle possibili ripercussioni che l’attuale Niño potrebbe avere sulle vicende climatiche del nostro paese.
L'Upwelling
L’upwelling (traduzione inglese di risorgenza marina) consiste in un processo che vede risalita di acqua dagli strati marini profondi e più freddi verso la superficie più calda, allorquando l’azione di venti persistenti e costanti in direzione sottrae localmente massa d’acqua dalla superficie per trasporto eolico nella direzione del vento stesso. Gli Alisei, venti costanti che soffiano da Est verso Ovest, sono all’origine dell’upwelling lungo le coste Sud-americane e lungo la linea equatoriale dell’Oceano Pacifico, dove il normale raffreddamento delle acque di superficie è mantenuto appunto dalla risorgenza marina (correnti ascendenti di compensazione). Quando gli Alisei si attenuano o la circolazione atmosferica di superficie comunque si modifica apprezzabilmente, l’upwelling si interrompe e la superficie marina si riscalda. Al fenomeno di riscaldamento delle acque di superficie, ben noto ai pescatori peruviani e ecuadoriani, è stato assegnato il nome di El Niño; in presenza del Niño infatti la pesca delle acciughe, che costituisce una delle principali risorse economiche di quei paesi, subisce un vero e proprio tracollo giacché la scomparsa del plancton, che non sopravvive alle temperature più alte, costringe i banchi del pesce a spostarsi verso latitudini diverse.Va però detto che se l’upwelling assume massimo sviluppo nelle aree indicate, dove va ad interessare la grande scala per l’azione esercitata dagli Alisei, ciò non toglie che non si possa verificare anche altrove quando ricorrano le condizioni idonee al suo sviluppo. A conferma di quanto detto voglio ricordare come, nell’ambito di indagini condotte sull’eutrofizzazione delle acque dell’Adriatico settentrionale, nel tratto costiero emiliano-romagnolo, proprio i meccanismi di upwelling facilitarono la comprensione di uno strano fenomeno che si manifestava sistematicamente ogniqualvolta sul bacino si attivavano persistenti venti occidentali. In tali circostanze la massa algale presente in superficie si allontanava dal litorale verso il mare aperto, sottocosta l’acqua riassumeva la sua abituale trasparenza ma contemporaneamente dall’acqua fuoriuscivano esalazioni intensamente maleodoranti che creavano gravi disagi in presenza di turismo. La spiegazione stava proprio nel fatto che le misteriose esalazioni in prossimità della costa derivavano dal trascinamento verso la superficie dello strato anossico di fondo (contenente anche materiale algale in decomposizione) ad opera delle correnti di risalita che costituivano la risorgenza marina, mentre al trasferimento verso il mare aperto delle masse algali presenti in superficie partecipavano non solo i venti occidentali ma anche le correnti superficiali di ritorno che chiudevano la circolazione marina indotta. Cessato il vento da Ovest cessavano anche le maleodoranti esalazioni litoranee e dopo qualche tempo le masse algali tornavano ad invadere lo specchio di mare litoraneo. Un upwelling ovviamente di “categoria” decisamente inferiore quello dell’Adriatico settentrionale, ma pur sempre il medesimo meccanismo che in presenza di un’opportuna azione del vento si può proporre, come dimostrato, anche in un mare di limitate dimensioni e di scarsissima profondità.
Cosa è successo poi nell'Estate 1997?
Come detto non potevano del tutto escludersi ripercussioni climatiche anche nel nostro paese come conseguenza di un Niño che, attivo dall’Aprile del ’97 alle latitudini equatoriali, poteva estendere ancora la sua influenza ai paesi dell’Europa e al Mediterraneo. Non però un’estate torrida, come era stato annunciato, perché quella in esame non si è certo distinta per il gran caldo, neppure nei comparti più meridionali ed esposti al Mediterraneo, dove pure il Sole non si è fatto desiderare. Osservando la mappa con le anomalie termiche rappresentata in figura appare infatti evidente quanto affermato e anzi, alla luce dei valori che vi compaiono, si può sicuramente affermare che l’estate 1997 è trascorsa all’insegna di un clima sicuramente mite, quando non addirittura fresco, come avvenuto nei settori Nord-orientale e Nord-occidentale, in gran parte del versante adriatico centro-settentrionale e nel versante ionico della Calabria e della Basilicata. El Niño ci ha dunque risparmiato sotto il profilo termico, almeno così sembra, e la caldissima estate che si temeva dovesse far seguito a quell’importante evento non c’è stata.Non sono però mancati in verità episodi insoliti, come le disastrose alluvioni che in Luglio hanno colpito alcune regioni dell’Europa centro-orientale (in particolare le terre attraversate dal fiume Oder) e in Agosto la Romania, l’ucraina e persino l’Algeria1, Avvenimenti che, per la loro eccezionalità in tali regioni, potrebbero non risultare del tutto scollegati “dall’effetto Niño”, come non si può affatto escludere che le ripercussioni climatiche indotte da tale fenomeno possano avere tempi di risposta più lunghi, e che quindi il nostro paese non sia esente da anomalie eccezionali nei mesi prossimi futuri. Tutto è possibile, anche se le ripercussioni del Niño sul clima europeo e Mediterraneo allo stato attuale non trovano sufficienti riscontri scientifici. La tecnologia previsionistica poi non è ancora oggi in grado di fornire la simulazione di scenari climatici attendibili sulla grande scala. Fare previsioni climatologiche è quindi ancora arduo e soprattutto molto azzardato, specialmente per alcune regioni della Terra; può accadere che invece di caldi eccezionali e intense siccità si verifichino eccezionali alluvioni, come è stato in Germania, o temperature estive addirittura miti come è avvenuto nel nostro paese. El Niño è un fenomeno sicuramente interessante e indubbiamente importante nel contesto climatico mondiale, del quale però molti sono ancora gli aspetti che rimangono oscuri.
Nella prima figura: scenario dell’Oceano Pacifico con vista della costa Sud-americana dove, in prossimità dell’equatore, si sviluppa El Niño. Sono indicati i due grandi centri barici: "A" di alta pressione, "B" di bassa pressione, responsabili del fenomeno che viene denominato “oscillazione australe”.
Nella seconda figura: schema di risorgenza marina nell’area costiera adriatica in corrispondenza al tratto emiliano-romagnolo. A - sottrazione di masse d’acqua nella zona litoranea ad opera di venti occidentali persistenti. B - strato anossico di fondo presente in condizioni di intensa eutrofizzazione delle acque marine costiere
Nella terza figura: anomalie della temperatura media sul territorio nazionale nella stagione estiva 1997.
Tratto da due articoli di Gianfranco Simonini, AER, Luglio e Agosto '97.